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venerdì 30 agosto 2013

Il profumo della papaia verde

Oltre il giardino


Film vietnamita del 1993 diretto da Tran Anhn Hung.

Mui, una giovane contadina, va servizio in città in una casa di modesti commercianti. La casa è piccola, il lavoro gravoso, ma Mui non si lamenta mai. La padrona di casa è gentile e la tratta come una figlia, il marito invece, periodicamente, scappa per qualche mese portandosi via tutti i risparmi. Dopo dieci anni, però, la situazione economica disastrata  non consente più alla famiglia il lusso di una domestica tuttofare. Mui deve trovare un altro posto dove stare.

Ginocchioni, sfrega il pavimento. Avanti e indietro, indietro e avanti. Per ore. Spesso intona piano un motivetto, una canzone d'amore traboccante di desiderio. Canticchia timidamente, e sorride. Sorride sempre. Il più delle volte non si rende nemmeno conto di quanto sia gradevole la musica che esce dalla sua bocca e si stupisce se qualcuno la guarda ammirato mentre lavora e canta. Travolto da tanta grazia e da tanta bellezza.
La casa è piccola, soffocante, traboccante di tante piccole cose di uso quotidiano. Ma per Mui non è una gabbia, una prigione. Tutt'altro. Appena fuori la porta di casa, sempre aperta, si apre un piccolo, microscopico giardino. Dove cresce una fantastica papaia dai frutti profumati, dove scorrazzano le formiche, dove, dietro una ninfea, gracidano le rane, e dove prolifiche arvicole costruiscono il nido. Questo è il giardino segreto di Mui, il posto magico dove può rifugiarsi dopo una faticosa giornata di lavoro e dove può fantasticare sul suo amore irraggiungibile, che la fa volare con la fantasia, che  la trasfigura e la innalza. Anche se non ce ne sarebbe bisogno. Lei è già perfetta!

Una storia semplice, raccontata con sguardo distaccato. La storia di una ragazza apparentemente fragile, delicata, ma che una ricchezza interiore straripante rende invulnerabile. Per certi versi può ricordare i film di Ozu, soprattutto per la sua capacità di mettere l'accento sulle piccole ma fondamentali cose di vita quotidiana.
Palma d'oro a Cannes.

7/10
 Mùi du du xanh
(1993) on IMDb


 Musica appropriata: Fionn Regan, Lord help my poor soul






domenica 25 agosto 2013

Tejút

Piano piano, sequenza per sequenza


Film ungherese del 2007 diretto da Benedek Fliegauf.

Dieci piani sequenza

1: un pala eolica che gira vorticosamente. Buio. La pala è illuminata parzialmente. C'è un vento moderato. Si fa giorno. Le eliche continuano a girare. Implacabili

2: un campo coltivato. Una donna esce da una tenda posizionata in cima ad una collina. E' l'alba. C'è un forte vento. La donna si allontana per fare pipì. Compiuti i suoi bisogni fisiologici, ritorna indietro. La tenda, però, si solleva e vola lontano. La donna e il suo compagno, che presumibilmente dormiva, la inseguono.

3: un fiume placido. Una barca. Vola in alto indifferente un uccello. Una carrozzella. Si sente il gemito di un bambino. Sensazione di pace. Passa una donna, scompare subito dall'inquadratura. La barca si avvicina lentamente a riva. Si sentono sciabordii sempre più vicini. Dalla barca scende un uomo che si dirige verso la carrozzina. Scompaiono entrambi dall'inquadratura. Poco dopo la carrozzina ricompare trainata da un altro uomo (o forse è lo stesso vestito diversamente). Poi solo il fiume.

4: un albero maestoso con un grande nido (cicogna?) Una montagnola serve da palestra ad un ciclista per allenarsi. Arriva un secondo ciclista. Si assiste alle loro evoluzioni. Non sono male! Nessuna nuova dal nido. Forse è stato abbandonato. Si sente sempre un forte vento e l'abbaiare di un cane. I ciclisti si immobilizzano a guardare non si sa bene cosa.  Si sente il verso di un corvo. Si è forse impossessato del nido? Vai a saperlo. I ciclisti si allontanano. Si sente l'abbaiare di molti cani e qualche tuono.

5: una piscina trasparente. Due anziani sono immersi nell'acqua, quasi addormentati. Un uomo si tuffa e nuota sott'acqua. Sensazione di pace. Una donna con una orrenda cuffia entra nell'inquadratura, nuotando malissimo. Poi scompare. Un vecchio emette un lamento. Di piacere? Un fringuello canta in lontananza. Uno dei due vecchi si risveglia dal torpore e nuota raggiungendo la donna dalla brutta cuffia. Si aggrovigliano.  Si sentono gemiti. L'altro è sempre immobile, in estasi. Non si accorge di nulla. I due, finito il coito, si immobilizzano. Poi la donna si allontana.  Alla fine i due vecchi, nella posizione iniziale, continuano il dormiveglia. Ripassa il sub, che scompare subito.

6: un paesaggio antropizzato. Qualcuno non inquadrato intona un motivetto. Vento, sempre vento. Passa una macchina. Scende un uomo con un cappello e poi altri due. Scaricano dall'auto un grosso rotolo arancio, che viene srotolato. Lentamente, molto lentamente. Poi i due salgono in auto e si allontanano. Rimane il terzo uomo. Si siede. Il rotolo si gonfia autonomamente. Ne viene fuori un piccolo teatrino colorato. Qualcuno ridacchia (il bambino canterino?). Si sentono delle voci lontane. Soffia sempre il vento. Arriva un vecchio con una bambina. Pagano, si tolgono le scarpe e salgono sul teatrino gonfiabile. Si risente il motivetto

7: decine di container accatastati.  Passa un uomo, intabarrato. Deve fare freddo. Si sentono dei rumori e il verso di un gabbiano. Arriva un operaio, che aprendo un container sparisce al suo interno. Ne esce con una valigia rigida. La fa vedere al primo uomo. Dal baule viene fuori una donna. Mezzo tramortita. Si allontana aiutata dall'uomo. L'operaio sparisce di nuovo dentro il container. Il gabbiano strepita. Non si sa cosa gli stia capitando. Ricompare l'operaio con un secondo baule. Ci sarà qualcuno dentro? In effetti si sentono dei colpi. Il baule e il suo contenuto vengono portati via. I colpi si intensificano. Poveretto!

8: una altalena in uno spiazzo condominiale. Una panchina. Si sente  il cinguettio di qualche passeraceo. Arriva una vecchia arrancando. La donna si ferma per prendere fiato, poi, finalmente, raggiunge la panchina. Ha il fiatone. Poverina! È esausta. Si siede, ma non smette di ansimare. Gorgheggi. Fringuello? Vai a sapere! La vecchia non si riprende, ma, coraggiosamente, si alza e si incammina. Stramazzerà al suolo? Sì, è proprio stramazzata sul selciato in posizione fetale. La scena non è drammatica, però. Esce dal palazzo un uomo che si avvicina alla donna. La guarda attentamente, si china, la sollevava, e se la porta via. Altalena e panchina ora protagoniste assolute della scena.

9: una collinetta con un albero. Un piccolo cumulo di neve. Rumore di vento. Il cielo è nuvoloso. Passa un camion sgangherato. Si sente il verso di una tortora dal collare. Dal camion scende un ragazzo. Si avvicina alla neve. Scende anche un uomo con due grossi sacchi. Li depositano sul cumulo di neve. I sacchi, sistemati strategicamente, diventano un pupazzo di neve. Bruttissimo, a dire il vero. I due osservano il loro capolavoro. Il ragazzo cerca di abbellire il pupazzo con una sciarpa. Ma il risultato è scadente tanto che ne sembra consapevole, ma abbraccia lo stesso il pupazzo. Gli dice anche qualche parola all'orecchio. Poi lo lascia là, al suo destino e i due se ne vanno. Rimane il pupazzo, l'albero e la collinetta. Sembra proprio che a breve pioverà. La tortora lo sa. E strepita.

10: skyline di una cittadina di notte. Arriva una bambina che osserva il paesaggio. Muove su e giù la testa. Arriva un secondo bambino. I due fanno dei gesti, una specie di ginnastica. Si sente il miagolio di un gatto terrorizzato. I due improvvisano una specie di balletto. Sono bravi! Una splendida coreografia. Poi si allontanano. Rimane la cittadina. All'orizzonte.

Titoli di coda. Sfondo color latte, forse andato a male. Bella musica. Evocativa. Fine.

Che dire? Per la prima volta ho fatto spoiler. Integrale!
Forse è meglio leggere qui.

7,5/10
 Tejút
(2007) on IMDb


musica appropriata: Sonic youth, making the nature scene

sabato 24 agosto 2013

Michael

Uno qualunque


Film austriaco del 2011 diretto da Markus Schleinzer.

Michael è un tipo ordinario, conduce una vita normale, ha un lavoro, una casa. In famiglia credono abbia anche una fidanzata tedesca. Ma le apparenze, spesso, ingannano.

Michael era uno qualunque, un tipo decisamente ordinario. Nell'aspetto, nel portamento, nel linguaggio, nel modo di gesticolare, in tutto. Nella folla non lo avresti mai notato. E lui non voleva farsi notare. Sì, era un tipo qualunque. Almeno così pareva. L'unica cosa che lo distingueva dall'ordinarietà era la sua casa. Una casetta a schiera, uguale a tutte le altre. Lui, però, l'aveva resa unica costruendo nel sottoscala una confortevole prigione, dove tenere segregata la sua piccola vittima: un dolcissimo bambino biondo. Un bimbo educato, remissivo, gentile, intelligente e, ormai, talmente senza speranza, da essere quasi collaborativo. Michael si era creato una famiglia. La sua famiglia. Ed era felice. Lui.
Dopo aver fatto, quando sentiva che era arrivato il momento, quel che doveva fare, si alzava, si lavava, si metteva il talco, si profumava, si pettinava, si vestiva, e così progressivamente tornava ad essere quel che non era. Perché non era certo un orco, un mostro. Lui era uno qualunque.


Wolfgang era un bambino felice, non gli mancava niente. La sua famiglia lo adorava, era un bambino come tanti. Adesso, però, sopportare tutta questa sofferenza per così tanto tempo gli ha bruciato l'anima. Non riesce neanche a piangere. Niente gli riuscirà più naturale, niente potrà più emozionarlo, entusiasmarlo; per sentirsi vivo, per poter assaporare una pseudo felicità avrà bisogno delle istruzioni. Di un manuale da portare sempre con sé, gelosamente. Da consultare all'occorrenza. Sbirciando qua e là, si possono leggere, ad esempio, le istruzioni per piangere: "lasciando da parte le motivazioni, atteniamoci unicamente al corretto modo di piangere, intendendo con questo un pianto che non sconfini nelle urla e tanto meno un insulto al sorriso. Il pianto medio o ordinario consiste in una completa contrazione della faccia e in un suono spasmodico accompagnato da lacrime e moccio... Per piangere bisogna concentrare l'immaginazione su se stessi... poi ci si copra il volto usando entrambe le mani con la palma in dentro... Durata media del pianto: tre minuti". Julio Cortàzar.

Markus Schleinzer ha lavorato con Haneke. Non occorre dir altro!

8/10
 Michael
(2011) on IMDb


musica appropriata: The wakes, The ballad of an ordinary man

venerdì 23 agosto 2013

Violeta se fue a los cielos

La vita, istruzioni per l'uso


Film cileno del 2012 diretto da Andrès Wood.

La vita sofferta, dolorosa eppure intensa, contraddittoria e a suo modo felice di Violeta Parra, la grande cantora cilena. Una artista a tutto tondo: pittrice, poetessa, scultrice, musicista, ricamatrice, ceramista. Diverse sue opere sono state esposte al Louvre.

Tra pochi minuti prenderà posto con eleganza sul palco accanto al bombo leguero. Imbraccerà la sua solita chitarra e riceverà con un inchino quasi impercettibile la rumorosa ovazione del pubblico. Il suo vestito, lungo, allegro, colorato luccicherà come se la luce riflettesse sopra il caloroso applauso delle persone che riempiono lo strano tendone da circo che  le accoglie.
Ed eccola, finalmente: Violeta, la grande cantora, acclamata in tutta Europa.
Prima di iniziare lo spettacolo, dispenserà consigli ai tanti artisti che affollano la sala. Dirà loro di scrivere come vogliono, usando il ritmo che sentono nell'anima, di provare strumenti diversi, di sedersi al pianoforte e distruggere la metrica. Di urlare invece di cantare, di soffiare nella chitarra e pizzicare la tromba, di disprezzare la matematica e abbandonarsi all'istinto. La creatività è come un uccello senza un piano di volo, che non volerà mai in linea retta. Dirà che per interpretare le sue composizioni non serve una voce da conservatorio. Il dolore non può essere cantato dalla voce di un professionista, è necessaria una voce sofferta come la sua, che soffre da quarant'anni.
Soffre per la sua gente, per se stessa e per il suo amore spezzato. Si sente come una gallina che pena a causa dello sparviero. Che ama ma di cui ha terrore. Lo sparviero rappresenta il potere capitalistico in tutta la sua potenza. Dice che nelle sue canzoni è sempre presente l'amore. E sempre lo sarà. L'amore che non sempre è costruttivo, ma distrugge e uccide.
Poi inizierà il canto e ci sentiremo trasportati lassù, lassù dove brucia il sole:

"Cuando fui para la Pampa
llevaba mi corazón
contento como un chirigüe,
pero allá se me murió. 1
Primero perdí las plumas
y luego perdí la voz.
Y arriba quemando el sol
."


Un film sentito, partecipato (scavando nell'animo di  Violeta non si poteva fare diversamente). Eppure qualcosa non torna. Nonostante la pellicola proceda anarchica con salti temporali improvvisi, è proprio la creatività che manca. Tutto sembra normalizzato: la fragilità, la complessità, la contraddittorietà, il coraggio, l'inventiva della cantora vengono fuori appena. Dopo Machuca mi aspettavo di più. Probabilmente però riponevo troppe aspettative. E si sa come vanno in questo caso le cose.

7/10
 Violeta se fue a los cielos
(2011) on IMDb



musica appropriata: colonna sonora


giovedì 22 agosto 2013

La notte di fronte

La morte, istruzioni per l'uso


Film cileno del 2012 diretto da Raoul Ruiz.

Don Celso è diventato vecchio, è ad un passo dalla pensione. È anche convinto che qualcuno lo voglia uccidere, che la sua vita stia ormai arrivando alla fine. Rivive così i sogni dell'infanzia, intreccia il passato con il presente, il vero con l'immaginario, i sogni con gli incubi. Tutto, però, con un sorriso ironico sulle labbra.

Si può quasi toccare il tempo che passa, si può vederlo intrecciarsi in grovigli multipli, si può anche pensare che si interrompa, che le ore non si rincorrano l'una con l'altra, o, invece,  si può credere che tutto scorra disordinato, avanti e indietro, indietro e avanti. Il tempo infatti è fatto di piccole biglie, di pietra o di cristallo non importa. L'importante è che con questa biglie del tempo si possano intrecciare collane: anni di cristallo, mesi di bronzo, lustri d'acciaio. È meraviglioso giocare con il tempo. Rivivere i momenti dell'infanzia, in cui si assaporava tutto con ingordigia, con la mente piena di brigantini, pirati e tesori sepolti. Il paradosso del tempo sussiste soltanto nella anime ancora turbolentemente vive, creando un meraviglioso cortocircuito tra quello che sono oggi e quello che hanno perduto, ritornando così ad un tempo più vicino del loro presente, all'origine della loro anima, rivivendo l'infanzia con la consapevolezza della vecchiaia.
Tuttavia il tempo passa lo stesso. Inesorabile. Le foglie cadute si accumuleranno anticipando la tristezza dell'inverno. Ci si sente come in un porto senza barche, un porto senza gabbiani. Ma se si ha consapevolezza che in fondo la vita è un sogno, da assaporare fino in fondo, fino all'ultima goccia, con ironia e disincanto, si potrà facilmente compilarne le istruzioni per l'uso: "laggiù in fondo sta la morte, ma niente paura. Afferra l'orologio con una mano, prendi con due dita la rotellina della corda, falla girare dolcemente. Adesso si apre un altro periodo, gli alberi dispiegano le loro foglie, le barche corrono le loro regate, il tempo come un ventaglio si va empiendo di se stesso, e da esso sgorgano l'aria, le brezze della terra, l'ombra di una donna, il profumo del pane. Che vuoi di più, che vuoi di più?... E laggiù in fondo sta la morte, se non corriamo e arriviamo prima e non comprendiamo che non ha più nessuna importanza". Julio Cortázar

Un film immenso, un vero testamento postumo. Un film in cui si percepiscono ironia, poesia, disincanto, disordine geniale, consapevolezza del proprio destino, e dove, come in un viaggio nel tempo, si rincorrono epoche del passato, anche remoto, in cui tutto si mescola: Beethoven convive con Long John Silver e Jean Giono si meraviglia di se stesso. Tra situazioni grottesche che richiamano certi film di Buñuel, il regista gioca con il tempo e lo spazio, concetti sempre presenti nei suoi film, con disincanto ma senza tristezza. Con la consapevolezza che la morte in fondo è parte integrante della vita.

10/10
 La noche de enfrente
(2012) on IMDb


musica appropriata: Violeta Parra, Gracias a la vida


venerdì 9 agosto 2013

Come and go

Trenodia con panchina


Cortometraggio del 2000 diretto da John Crowley.

Una luce soffusa illumina tre donne, Flo, Vi e Ru, sedute fianco a fianco su una panchina, dall'età indefinibile, vestite con lunghi cappotti di un diverso color pastello, amiche fin dall'infanzia.
Le donne rievocano i tempi andati, tema ricorrente in Beckett. Si viene a sapere che tutte sono probabilmente affette da una malattia incurabile
Solo ieri erano tre ragazze, ora il tempo per loro si sta esaurendo, gli anelli del tronco sono tanti, la vecchiaia è alle porte, così come la morte. Cosa possono fare perché il loro triste fato non si compia? Niente, possono solo andare e venire, muoversi senza uno scopo, senza andare da nessuna parte. Possono solo evocare la morte, rievocando la vita che è anche tempo di sofferenza e tragedia.


Beckett ha coniato, forse ironicamente, per questo breve testo un neologismo: dramaticule, volendo così sdrammatizzare il tutto. Mi sembra ci sia riuscito solo in parte, riflettendoci, questa rappresentazione è di una tristezza senza pari.

Le tre donne, come le tre streghe di Macbeth, le tre Parche, conoscono il destino degli altri, ma ignorano il proprio. 

The weird sisters, hand in hand,   
Posters of the sea and land,   
Thus do go about, about, 
Thrice to thine and thrice to mine   
And thrice again, to make up nine.   
Peace! The charm’s wound up.

musica appropriata: Teatro satanico L'occidente

martedì 6 agosto 2013

Me too

Stalker


Film russo del 2012 diretto da Aleksei Balabanov.

Una leggenda narra che in  un villaggio tra San Pietroburgo e Uglič sorga un campanile che può dare la felicità a chi vi entra, trasportandolo lontano. Non a tutti è concessa, però. Così un criminale, un musicista, un alcolizzato, sfidando la contaminazione atomica, partono alla ricerca della felicità sognata.

Camminavo, camminavamo, con circospezione, facendo attenzione a non calpestare cadaveri, con passo pesante nella neve alta, ma con la speranza, la sicurezza quasi, di raggiungere la felicità. 
E camminando siamo giunti al campanile.
Non ci sono guide, non ci sono sentieri già tracciati, c'è solo tanta neve e una tristezza da crepuscolo dell'umanità. Un paesaggio da sogno mal sognato si dispiega innanzi a noi in tutta la sua sinistra bellezza. All'improvviso sento tanto freddo, sdraiato sulla neve candida, assalito da un panico grottesco, aspetto che arrivi finalmente la felicità.



Ultimo film di Balabanov, purtroppo morto nel maggio di quest'anno. Un film non completamente riuscito, con una prima parte (la preparazione al viaggio) alla Kaurismaki, e una seconda parte decisamente onirica e tarkovskiana.

7/10
 Ya tozhe khochu
(2012) on IMDb


musica appropriata: Barn Owl, The Long Shadow