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domenica 23 marzo 2014

Politist, adjectiv

La legge, non la giustizia


Film rumeno del 2009, diretto da Corneliu Porumboiu, gran premio della giuria a Cannes nella rassegna "Un certain Regard".











In un romanzo giallo (o in un film poliziesco) di solito c'è una inchiesta, un fatto criminoso più o meno grave; si indaga, non ci sono tempi morti e la soluzione del mistero, dopo vari colpi di scena, alla fine viene scodellata allo spettatore frastornato. Qui, in questo Politist, Adjectiv, non c'è crimine (almeno il detective che dovrebbe indagare non lo ritiene tale), non c'è indagine (o meglio, ci sono i pedinamenti, gli appostamenti, lunghi, interminabili, ma è evidente che non produrranno nulla), non c'è niente di niente. Eppure c'è una denuncia e qualcuno dovrà pagare. Nel suo piccolo una specie di rivoluzione copernicana, come quella che l'arrivo del commissario Maigret produsse nell'anchilosato panorama del romanzo giallo. Come disse ai tempi Savinio: "il suo arrivo creò un tipo nuovo di romanzo poliziesco: il romanzo poliziesco borghese. Qui non c' e' eccesso di terrore. Il delitto ci scappa, si' : ma è delitto modesto e nient'affatto singolare. Non si resta col fiato sospeso, non ci si mette a tremar dentro il letto, col lenzuolo fin sopra il naso e due dita che appena appena sporgono per reggere il volume micidiale e raggricciante. No. E  quanto al commissario Maigret esso e' un borghese grasso e bonario, una specie di papa' senza figli, un moralista che fuma tabacco popolare, porta le scarpe con l' elastico, si sente a disagio negli ambienti di lusso, si porta dietro un paracqua, odia il cosmopolitismo, compie il suo lavoro di ricerca più per dovere di funzionario che per sete di scopritore, e che se affretta la soluzione dell'inchiesta, lo fa soprattutto perché la cucina dei "Palaces" non gli conviene affatto, e smania di ritornare ai piatti casalinghi che gli prepara la moglie".











Qui non c'è niente di così eclatante, ma è interessante la contrapposizione tra il capo e il detective recalcitrante. Lo scarto enorme che il poliziotto avverte tra una legge, una norma e il suo senso personale di giustizia non gli consente di far marcire in galera un ragazzo per qualche grammo di hashish. Ma il capo non è d'accordo: per lui la legge è legge, non se ne può dare una lettura personale, che minerebbe alle basi lo stato di diritto e, anche se "la legge è norma fuggevole che dipende dalle circostanze", bisogna rispettarla. Sempre. E così va avanti un duello dialettico, a colpi di dizionario,. Non ci saranno spargimenti di sangue, è vero, ma l'esito non sarà indolore. Quattro chili di dizionario possono far male!
8,5/10


venerdì 21 marzo 2014

Heli

Alien 3


Film del 2013 del messicano Amat Escalante, premio per la miglior regia a  Cannes












Possono esistere, da qualche parte del globo, individui che, pur vivendo immersi in un mondo marcio, corrotto, traboccante miseria e violenza, non ne vengono toccati, continuando a vivere la loro vita virtuosa? Esistono simili alieni? O è solo questione di tempo, di opportunità, di casualità perché anche loro, alla fine, diventino come gli altri? Esattamente come tutti.














 È questo il filo portante del bellissimo film di Amat Escalante, ambientato nella regione messicana di Guanajuato, povera, arida, rocciosa, in cui imperversano bande di narcotrafficanti e di poliziotti corrotti. Nessuno è al sicuro, nessuno se ne può tirar fuori, neanche volendolo.
Nonostante il regista sia un allievo di Reygadas, questo film è stato accostato, per la violenza esibita in maniera molto molto realistica, a Kinatay di Brillante Mendoza. È vero, il paragone è molto calzante: i due film si assomigliano molto. L'unica differenza sta nel fatto che nel film di Mendoza la violenza è vista come un male necessario, una consuetudine, un lavoro come gli altri, da accettare così com'è, senza farsi troppi problemi morali, mentre qui è come un cancro, con metastasi diffuse, che prima o poi si espanderanno anche alle parti sane. Allegria.














 Per una volta non sono completamente d'accordo con Frank Viso quando dice: "chiuso il cerchio di soprusi assistiamo a un seguito costruito attraverso un'inusuale elaborazione del dramma, che pur rimanendo nonostante tutto la parte migliore, purtroppo si stempera in un finale ermetico e riciclante". Non so, forse ho preso il solito abbaglio, ma il finale l'ho trovato geniale, la quadratura del cerchio, l'unico modo possibile per dare una risposta al quesito che sta alla base del film: esistono gli alieni?
8,5/10




giovedì 20 marzo 2014

Nothing's all bad

Destini incrociati


Film d'esordio del danese Mikkel Munch-Fals.














Prologo: un uomo tristissimo
Una stanza disadorna dai muri orrendamente scrostati, un piccolo squallido albero di Natale, un letto. Un uomo sta singhiozzando, ai suoi piedi una ragazza che ha tutta l'aria di essere una prostituta. "Mia moglie stava guidando, quando all'improvviso è sbucato fuori un cane. Ha provato ad evitarlo, a scansare gli alberi, ma non ci è riuscita. È stata una cosa così improvvisa!". L'uomo continua a piangere a dirotto, il moccio comincia a colargli dal naso. "È successo molto tempo fa?" "Cosa?" "Che è morta tua moglie, cos'altro?" L'uomo smette di piangere e guarda la ragazza negli occhi. "Non è mica morta, è a casa con i bambini. Sarà meglio che vada a casa con i regali, però prima qui dovremmo darci da fare!"














Capitolo 1: quattro personaggi in cerca di....
Ingeborg è andata in pensione ed ha perso il marito, stroncato da un infarto. È alla ricerca di qualcuno che possa colmare la sua solitudine. Lo cerca sulle chat erotiche, in bar malfamati o nelle sale bingo;
Anna, figlia di Ingeborg, ha subito una mastectomia e non riesce ad accettare il suo corpo. È alla ricerca di qualcuno che possa colmare la sua solitudine.. Lo cerca nei cinema a luci rosse o sui set pornografici;
Anders, un impiegato di mezza età dall'aria sempre afflitta è stato abbandonato dalla moglie e dal figlio. È alla ricerca di qualcuna che possa colmare la sua solitudine. La cerca nei parchi, dove si esercita  a fare il maniaco esibizionista;
Jonas, figlio di Anders, si sente tradito dai suoi genitori. Ha come un vuoto dentro, che non riesce a colmare. È alla ricerca di qualcuna/o che possa colmare la sua solitudine. Non ha preferenze di sesso: basta che paghi!













Sembrerebbe il solito film in cui personaggi abbrutiti sprofondano pian piano in un gorgo di perdizione e depravazione da cui poi è impossibile venir fuori. Ma, come per magia, al regista basta intrecciare i giusti fili per far sì che dal dramma a tinte fosche, che lo spettatore era ormai rassegnato a sorbirsi, si passi alla commedia. Non si ride, certamente, ma almeno non si piange. Si rimane in un limbo, in cui tutto può succedere, è vero; ma l'orizzonte sembra più roseo.
8/10


mercoledì 19 marzo 2014

Borgman

Il diavolo, probabilmente


Film del 2013, diretto dall'olandese Alex van Warmerdam, presentato a Cannes in concorso.

"Nella camera da letto, l'ospite non era più solo: nella seconda poltrona stava seduto quel tipo che gli era parso di intravedere in anticamera. Adesso lo si vedeva distintamente: baffi a penna, un vetro degli occhiali luccicava, l’altro non c'era. Ma scoprì cose anche peggiori: sul pouf della gioielliera stava sdraiato in una posa disinvolta un terzo essere, e precisamente un gatto nero di dimensioni paurose, con un bicchierino di vodka in una zampa, e, nell'altra, una forchetta, su cui aveva già infilato un fungo marinato.
La luce già debole della camera da letto si offuscò ancora di più «Ah, è così che si impazzisce...», pensò, e si afferrò allo stipite della porta." MAB












Quanto tempo è necessario perché una normale famigliola benestante ceda alle lusinghe del male? qualche ora? qualche giorno? una settimana? In fondo è solo questione di tempo, il risultato è scontato.
Il male in questo caso ha le fattezze di Camiel, un ometto cencioso, magro magro, con i lunghi capelli arruffati e con una bella barbetta che si liscia in continuazione. Nei periodi di "inattività" rimane in stato letargico in una tana scavata nel bosco. Ha  un team di collaboratori: due uomini e due donne. Affidabili, efficienti, incorruttibili. Insomma, una vera squadra, che si libera, senza nessuna difficoltà alcuna, di ogni ostacolo che le si presenta davanti. Obiettivo finale:  impadronirsi di anime innocenti.
La famigliola che Camiel ha preso di mira non si presenta male: il marito arrivista e violento, la moglie artista e scontenta, tre bimbi biondi. Con bella baby sitter al seguito. Potrebbe sembrare una trama alla Teorema di Pasolini, ma qui il sesso viene evitato come la peste e, dopo un po', tutto prende una piega grottesca, lieve, spesso divertente ma in definitiva un po' scontata e superficiale.











Scena clou: Camiel, dopo aver finito di realizzare il giardino più triste che si sia mai visto, organizza per i suoi "datori di lavoro" uno spettacolino paradossale: alla fievole luce di un riflettore i suoi collaboratori danzano, anzi si contorcono, in modo che definire sgraziato è riduttivo. Dopo qualche interminabile minuto di questa coreografia, la più giovane del gruppo si tira dietro due cartelli con sopra scritto: "Io sono, noi siamo". Manca il terzo cartello, ovviamente. L'ennesima presa per i fondelli del regista agli spettatori tutti.