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giovedì 30 maggio 2013

Arrugas

Le ultime briciole


Film spagnolo d'animazione del 2011 diretto da Ignacio Ferreras.

Emilio, un ex direttore di banca, viene abbandonato dalla famiglia in un ospizio di lusso. Ha i primi sintomi dell'Alzheimer, tende a dimenticare le cose e vive nel passato. Stringe, però, amicizia con il nuovo compagno di stanza, Miguel, che estorce soldi un po' a tutti i degenti, accontentandoli e cercando per loro le cose più disparate. Sembrerebbe un cinico, Miguel,  ma si affeziona al nuovo compagno, lo aiuta come può a mascherare i sintomi della malattia affinché i dottori non lo spediscano al famigerato "piano di sopra", dove sono ricoverati quelli senza speranza, i non autosufficienti, quelli che aspettano solo la morte come liberazione.

Da dove veniva quella espressione affranta? Quale poteva essere la ragione di tanta tristezza in quegli occhi? Erano solo domande retoriche, che non necessitavano di nessuna risposta. La ragione la sapevamo tutti, tutti noi ospiti in quell'ospizio a 5 stelle: eravamo vecchi. Vecchi, soli, inutili e alla deriva.
Emilio, il mio nuovo compagno di stanza, sembrava ancora in buona salute. Era autosufficiente, almeno. Ma la disperazione in cui era evidentemente sprofondato ispirava, persino a me, compassione. Abbandonato dai suoi, con l'Alzheimer incipiente, prima o poi finirà, come tutti, al piano di sopra: il girone infernale degli assistiti, dei dementi, di chi aspetta solo la morte, gli occhi fissi sul vuoto, contando i secondi, i minuti, quasi fossero pugnalate.
Tutti mi considerano un truffatore, un profittatore, ma io regalo fiducia a chi l'ha perduta, una speranza a chi ne ha bisogno. È vero, ci guadagno qualcosa, ma a tutti regalo un sollievo, un'illusione. Cose che valgono ben più del vile denaro e da prendere al volo prima che, minacciosa e tetra come le nuvole di una tempesta, arrivi la demenza, o la salvifica morte.


Tratto dalla famosa graphic novel di Paco Roca, Rughe, con una trama simile, avrebbe facilmente potuto scadere nel patetico, nel piagnucoloso, nel retorico. Invece è una storia vibrante, vera, certo crudele, ma reale, che fa riflettere e ogni tanto anche divertire. Il passato e il presente si confondono, si mescolano; molti personaggi vivono solo nel passato, ricordandone solo certi momenti, in un delirio tragicomico. La solitudine accomuna tutti: un sentimento spugnoso, diafano, appiccicoso e devastante. Chi ne è in grado fa di tutto per sfuggirne, rivivendo i sogni del passato, immaginandosi in viaggio sull'Orient-express o su un campanile ad aspettare le nuvole.
Cercando di assaporare lentamente le ultime briciole, prima che siano spazzate via dal vento come le foglie secche autunnali.

8,5/10
 Arrugas
(2011) on IMDb


musica appropriata: David Lang, You will return

martedì 28 maggio 2013

Qualcuno da amare

Rafflesia watanabii


Film iraniano del 2012 diretto da Abbas Kiarostami.

Akiko  è una giovane escort con un fidanzato geloso e possessivo. Con il suo mestiere si paga gli studi universitari e, spesso, accetta clienti anziani. Come il professore Takashi Watanabe, che prende subito in simpatia la ragazza, aiutandola, come può, nei suoi studi e nel suo burrascoso rapporto con il fidanzato. Ma le cose non andranno come il professore sperava.

Ho sperato, ci ho creduto con forza, ma alla fine devo gettare la spugna: prima o poi ogni essere umano precipita in una solitudine senza salvezza: annaspa, si dibatte, cerca di divincolarsi, ma dopotutto sarebbe saggio non muoversi affatto. È tutto inutile: la solitudine è il prezzo che dobbiamo pagare, che la vita ci impone. Non siamo nati per essere felici, forse della felicità ne percepiamo un fievole barlume. Tutto qui. E più il tempo passa, più ci addentriamo inconsapevoli in questa palude grigia,  tetra, in questa putredine in disfacimento.
Ci ho provato con quella ragazza ad annullare il tempo, ad ingannare me stesso, a spandere concime su questo albero moribondo. Ma, forse, lei non era la persona giusta: riusciva senza fatica a succhiare ogni forza vitale, come un fiore di rafflesia che introduce filamenti gelatinosi nella pianta ospite, assorbendone la linfa. Sì, lei era un fiore putrescente, meraviglioso ma marcio dentro. Attirava solo carogne. Proprio come me.

Dopo il disastroso Copia conforme, Kiarostami, in terra giapponese,  sforna un film con luci ed ombre. Un film in cui sembra "non salvarsi nessuno. Tutti sembrano prigionieri di se stessi".
Sicuramente un film elegante, ben confezionato, non commerciale, con un finale  aperto e un po' spiazzante.  Riuscito sicuramente il personaggio del professore Watanabe, un uomo anziano che, circondato da libri polverosi, conduce una vita  "fatta di telefonate senza risposta, comunicazioni interrotte e armonie infrante."

7/10
 Like Someone in Love
(2012) on IMDb


musica appropriata: Spectrals, Sob story

sabato 25 maggio 2013

Il sospetto

Il marchio


Film danese del 2012 diretto da Thomas Vinterberg.

Lucas, un maestro d'asilo, ha attraversato un periodo difficile della propria vita: abbandonato dalla moglie, vede di rado il suo unico figlio. Ma le cose, adesso, sembrano andar meglio. Ha trovato una compagna e il figlio ormai adolescente decide di vederlo più spesso. Tutto sembra andare per il verso giusto. Ma la bugia di una bambina, figlia del suo migliore amico, fa precipitare la sua vita in un inferno. L'intera comunità lo considera un mostro, tutti lo evitano, lo accusano, perde il lavoro e l'ex moglie non gli permette di vedere l'amato figlio.

Il bosco era di un verde così scuro che, sotto il fogliame, il giorno si trasformava in notte. Ogni tanto, in lontananza, si sentiva il bramito di un cervo. L'aria profumava di resina e di lavanda. Lucas si sentiva in pace con se stesso e con l'intero creato, in uno di quei momenti magici in cui tutto risplendeva come incantato.
Mai e poi mai si sarebbe aspettato che una frase, detta così, quasi per capriccio, avrebbe cambiato così profondamente la sua vita. Una accusa infamante, ingiusta, fondata sul nulla. Ma i bambini non mentono. Mai. È risaputo.
Basta un nulla e i ruoli si rovesciano: da cacciatore ti trasformi in preda, da uomo rispettato e amorevole in un  mostro pervertito. È sottile il confine, traversarlo è un nulla, una mossa sbagliata e ti ritrovi a marcire nelle sabbie mobili. E anche quando sembri sul  punto di liberarti da quella stretta mortale, immancabilmente ti ritroverai impantanato come o peggio di prima. Le bugie dei bambini hanno le gambe lunghe, corrono veloci nel tempo.

Dopo i bellissimi Festen e Submarino, Vinterberg sforna un altro film notevole. Il tema della pedofilia viene ribaltato e, in questo caso, è l'adulto la vittima. Il film si concentra sul dramma subito da Lucas, sulla caccia alle streghe di cui sarà vittima, sulla ferocia di una comunità che, sulla base di sospetti labilissimi, crocifigge letteralmente un essere umano. Hanno trovato il perfetto capro espiatorio su cui incanalare il proprio disprezzo, su cui imprimere un marchio d'infamia che difficilmente potrà essere eliminato.

8/10
 Jagten
(2012) on IMDb


musica appropriata: Elfin Saddle, Kiboho

giovedì 23 maggio 2013

The Journals of Musan

Il confine della solitudine


Film coreano del 2010 diretto da Park Jung-bun.

Seung Chul , un rifugiato nord coreano, non riesce ad inserirsi nella vita frenetica di Seoul. Gli unici lavori che riesce a trovare sono degradanti ed umilianti. Si è anche invaghito di una ragazza che ha conosciuto nel coro della chiesa. La segue, la pedina e riesce anche a farsi assumere dal padre, che gestisce un locale di karaoke. Ma, nonostante sia una persona corretta, onesta e leale, l'unico amico che riesce a trovare è un cucciolo abbandonato per strada.

La correttezza di ogni essere umano consiste nell'essere conforme al copione che ha scritto per se stesso. Ma, con ogni evidenza, qualcuno questo copione lo doveva aver  redatto al posto mio. A Musan, in Corea del Nord, dovevo lottare con le unghie e con i denti per un tozzo di pane, qui, a Seoul, non era certo diverso: sfruttato, angariato, ridicolizzato, deluso da tutto, vegetavo e sognavo. Sognavo quella donna, la spiavo, la pedinavo ovunque andasse, ho cercato in ogni modo di avvicinarmi a lei, ma alla fine è sempre la solitudine che vince ogni battaglia. Non c'è scampo, dobbiamo vivere soli, soffrire e accettare le prove che la vita ci riserva. Ma, forse, è un sentimento condiviso, un esame che tutti dobbiamo sopportare: è la solitudine della civiltà. Forse in fondo all'animo umano sopravvive il fievole ricordo di un tempo felice, solare, un'oasi di pace. Tutto è possibile. Chissà.

Bel film coreano ispirato alla vita di Jeon Seung-chul, un amico del regista, morto prematuramente. È un film sincero, sentito, girato senza orpelli, in cui la lezione del maestro Lee Chang-dong è ben visibile (Park Jung-bum è stato assistente alla regia in Poetry).
Un'opera prima veramente riuscita, di una maturità sorprendente.

7,5/10
 Musanilgi
(2010) on IMDb


musica appropriata: Sam Amidon, My old friend

domenica 19 maggio 2013

Rengeteg

Cani e pesci


Film ungherese del 2003 diretto da Benedek Filegauf.

Una ragazza trova addormentato sul divano di casa un perfetto sconosciuto con il suo cane. Alla ragazza stupita l'uomo dichiara di volersi suicidare e lasciare a lei il cane. Un padre non riesce a capacitarsi che la propria figlia stia crescendo, che si stia trasformando fisicamente, che non è più la stessa bambina di un tempo e che stia diventando provocante. La cosa lo lascia di stucco. Due ragazze in una impenetrabile foresta vanno alla ricerca di un amico che si è perso, dopo aver dissolto la propria fortuna in un tritacarne.

Certe volte la vita gioca a nascondino, ti sorprende, ti stupisce, ti lascia letteralmente senza parole. Mai mi sarei aspettata che una mattina potessi trovare addormentato sul divano un perfetto sconosciuto. Dormiva placidamente, e sonnecchiava anche il suo cane, russando per di più.  Se non avessi provveduto a svegliarlo, avrebbe dormito per giorni, per settimane. Una volta destato, ancora intontito, come se niente fosse, mi disse: "Dovresti occuparti del mio cane; è vaccinato, educato, di buon carattere, non ti darà problemi, devi solo portarlo fuori due volte al giorno. Non importa chi sono, non importa se non mi conosci, ma devi assolutamente farlo, devi occuparti di lui. E dargli da mangiare la sera, dopo la passeggiata. Questo cane ti ha scelto un giorno, tempo fa. Ora devo andare. Vado a suicidarmi." Sì, spesso la vita può stupirti, ma in quel momento ero pervasa dalla sensazione che non ci fosse nulla di straordinario nel momento che stavo vivendo. Era come se lo avessi già vissuto. E un cane mi faceva comodo.

Film molto strano, tante scenette grottesche, raccontate da personaggi ripresi sempre in primo piano. Le varie scene non hanno un filo conduttore comune, sono indipendenti l'una dall'altra (tranne che nel prologo, dove compaiono tutti i personaggi). In definitiva, un film decisamente originale, ma di non facile visione.

7/10
 Rengeteg
(2003) on IMDb


musica appropriata: The Mostar diving club, Circus of fools





venerdì 17 maggio 2013

Pandora's box

Il pendolo turco


Film turco del 2008 diretto da Yesim Ustaoglu.

La vecchia Nusret vive in un villaggio sperduto tra le montagne dell'Anatolia. È autosufficiente, il bosco e un piccolo orto le danno da vivere. Un giorno, però, scompare. Le figlie la ritrovano ma, dopo un controllo in ospedale, le viene diagnosticato il morbo di Alzheimer in forma avanzata. Nusret è così costretta ad abbandonare la sua casetta nei boschi e trasferirsi ad Istanbul, in casa della figlia. Ma la città non fa per lei, e i problemi della figlia non la aiutano. Il nipote, in rotta da tempo con la famiglia, decide di riportarla nel suo villaggio.

Una nebbia leggera si stendeva sulla montagna quel mattino d'autunno. Lontano, quasi all'orizzonte, mi sembrava di vedere la sua vecchia figura tremolante, che avanzava a fatica, lo sguardo perso nel vuoto o fra antichi ricordi. Mi piaceva immaginarla inghiottita dalla montagna, ormai parte di essa. Per sempre. Sotto sotto era quel che cercava. L'alzheimer in fondo era stato un dono per lei: non poteva capire questo mondo assurdo, frenetico, che ha perso ogni contatto con i cicli della natura, con la vita stessa. Non avrebbe sopportato i litigi continui, i rancori, i dissapori, le frustrazioni che disgregavano pian piano la sua famiglia. Ormai non mi riconosceva più, ma per me mia nonna era diventata una presenza fondamentale. Nei suoi occhi vedevo la vera innocenza, un candore ormai perduto nel tempo, una vita vissuta in punta di piedi e, proprio per questo, autentica e vera. Tutto ciò mi rinfrancava e mi dava coraggio. Ogni volta che alzerò gli occhi in alto, verso la montagna, non potrò fare a meno di ricordare la mia meravigliosa nonna.

Un bel film sulla malattia, sul disgregarsi dei rapporti familiari, sull'incomunicabilità, sui conflitti generazionali, sui disastri ecologici e umani causati da una urbanizzazione scriteriata. Si parla, in fondo, della Turchia, uno stato a cavallo tra Oriente ed Occidente e per questo pieno di contraddizioni insanabili, diviso com'è tra un passato mitizzato e una modernità mai pienamente accettata. Un paese schizofrenico, laico e fondamentalista allo stesso tempo, in cui il nazionalismo islamico  e una modernità incarnata da valori occidentali corrono su binari paralleli, senza mai veramente incontrarsi. Creando, anzi, cortocircuiti potenzialmente esplosivi.

7,5/10
 Pandora'nin kutusu
(2008) on IMDb


musica appropriata: Ibrahim Tatlises, Su Daglarda Kar Olsaydim

giovedì 16 maggio 2013

Six shooter

Il treno della morte


Cortometraggio irlandese del 2004 diretto da Martin McDonagh.

Donnelly ha appena appreso che la moglie è deceduta. Disperato, con la morte nel cuore prende un treno per far ritorno a casa. Qui incontra una giovane coppia che ha perso il bambino appena nato e un ragazzo molto loquace, sgarbato, arrogante e insensibile al dolore altrui. Anche se a modo suo può risultare anche simpatico, le continue provocazioni del ragazzo fanno innervosire un po' tutti. La situazione diventa ogni minuto più esplosiva. Qualcosa prima o poi dovrà accadere.

Quando mi avvisarono che mia moglie era morta, ero seduto su una piccola poltroncina che reggeva a malapena il mio peso, e osservavo con sguardo vacuo il dottore. Sentivo che voleva comunicarmi qualcosa, ma il senso delle sue parole mi sfuggiva, tutto era annebbiato. Cercavo di respirare profondamente e di concentrarmi sulla decisione di non scoppiare a piangere. Sarebbe stato degradante. Cercai allora di pensare ad David, il nostro coniglio, il nostro tenero coniglio bianco. Non mi restava che lui, l'unico argine alla mia solitudine.
Quel ragazzo in treno mi guardava in modo strano. Credo che mi legga in faccia l'angoscia. Non posso neanche respirare, ho come una lama d'acciaio conficcata, qui, sulle costole. Per questo non mi accorsi subito che era strano, che c'era in lui qualcosa che non andava. Un teppistello, arrogante, sgarbato, supponente, insensibile, crudele. In questi casi non è necessario essere indovini, è facile prevedere che farà una brutta fine.

In Six shooter ci sono in nuce molti dei temi che il regista riprenderà nell'ottimo "In Bruges". In poco più di venti minuti si passa dal dramma esistenziale alla commedia nera tipicamente anglosassone, con spezzoni di film d'azione.
Pluripremiato in vari festival, ha vinto anche un Oscar come miglior cortometraggio nel 2006.

7/10
 Six Shooter
(2004) on IMDb


musica appropriata: Mark Lanegan and Duke Garwood, Pentacostal

martedì 14 maggio 2013

Sightseers

Le belve


Film inglese del 2012 diretto da Ben Wheatley.

Chris e Tina decidono di intraprendere un viaggio di una settimana in roulotte:  un tour culturale in cui visiteranno antiche rovine e vecchi musei inglesi. Il viaggio sarà per Tina l'occasione di liberarsi dal peso opprimente della madre e dall'aria stantia della sua vecchia casa. Tina è entusiasta di scoprire il mondo e anche di conoscere meglio l'uomo che crede di amare. Ma il viaggio non andrà come sperato, presto si trasformerà in un vero incubo.

Da quando avevo incontrato Chris non avevo più avuto un attimo di pace, la vita che avevo condotto fino ad ora mi sembrava piatta e insignificante. La mia casa mi stava stretta, e non sopportavo più mia madre. Una vera strega!
Per questo, quando lui mi propose una vacanza in roulotte mi sembrò un dono del cielo, una meraviglia, un incanto. Avrei passato momenti indimenticabili con l'uomo che amavo, io e lui e nessun altro. Ci saremmo conosciuti meglio, avrei carpito ogni suo segreto. E avrei scavato anche nel fondo della mia anima. C'era qualcosa che mi sfuggiva, a ben vedere. Non puoi sapere tutto di te stesso, forse mi mancava semplicemente il coraggio di scavare fino in fondo. Avevo il terrore di scoperchiare un orrendo verminaio, di liberare i mostri che si dibattevano in silenzio dentro di me. E anche dentro di lui. Sì, perché credevo di conoscerlo, ma in realtà non sapevo nulla di lui. Il mio istinto mi diceva che anche nei bui recessi della sua anima si agitava una belva orrenda, che cercava di liberarsi.  Sentivo che eravamo anime gemelle. Eravamo come il simun, il vento che soffoca e uccide ogni cosa che incontra.

Un film cinico, cattivo, grottesco, tipicamente anglosassone, una comicità nera, per nulla banale. Certo, la trama non è particolarmente originale: si sono visti tante volte personaggi simili, "assassini nati", Bonnie e Clyde spietati, che uccidono senza motivo, solo per un divertimento macabro. Ma il film regge, Chris e Tina sono davvero una bella coppia di "depravati". Ingenui, all'apparenza innocui e rassicuranti, fanno a gara a chi sia dei due il più spietato, il più crudele, il vero "mostro".

7/10
 Sightseers
(2012) on IMDb


musica appropriata: Braids, Lemonade

venerdì 10 maggio 2013

Historias mínimas

Le tre solitudini


Film argentino del 2002 diretto da Carlos Sorin.

Don Justo, un vecchio dalla vista debole, scappa da casa per ritrovare il suo cane, scomparso da qualche anno. Roberto fa il commesso viaggiatore e cerca di conquistare una bella vedova seguendo i consigli di un manuale che, dice, gli ha cambiato la vita. Maria Flores deve partecipare, con la figlia in fasce, ad un gioco a premi televisivo. Tutti e tre devono raggiungere  San Julian, una cittadina che dista 300 chilometri.

Arrivati ad una certa età, non c'è niente di peggio delle solitudine: ti scava dentro, poco a poco, ti annienta, ti devasta. È come un vento freddo, tagliente, ti spoglia di tutte le certezze, di tutte le tue passioni, ti rende inerme, nudo, ti toglie il desiderio di continuare a vivere. Io, però, non avevo nessuna intenzione di soccombere, avevo ancora qualcosa da fare, dovevo saldare un conto con la mia coscienza. 
Così quando mi dissero che il mio cane era ancora vivo, il mio cane che mi aveva abbandonato, che era fuggito da me nauseato dalla mia vigliaccheria, presi la palla al balzo: lo avrei cercato, lo avrei trovato, avrei percorso quei chilometri che mi separavano da lui anche a piedi, con i miei scarponi  da montagna o perfino in ginocchio. Costi quel che costi.

Un film piccolo, delicato, tre storie che si intrecciano, si toccano. Si parla di solitudine, di ricerca della propria identità e  delle proprie certezze messe in dubbio. Storie di tutti i giorni, raccontate con una lieve ironia, con un sorriso appena celato, con affetto. E su tutto il magnifico e desolato paesaggio della Patagonia: deserti sconfinati, suggestivi, affascinanti.

8/10
 Historias mínimas
(2002) on IMDb


musica appropriata:  Moddi, Magpie eggs

domenica 5 maggio 2013

La jetée

Cicatrici


Mediometraggio francese del 1962 diretto da Chris Marker.

Un bambino all'aeroporto di Orly assiste alla morte di un uomo. Nei suoi ricordi resterà soltanto il volto dolcissimo di una donna. Diversi anni dopo il mondo è stato sconvolto dalla terza guerra mondiale, Parigi è stata distrutta, restano solo macerie. La sopravvivenza dell'umanità dopo una simile catastrofe è affidata ai ricordi di quel bambino, ora uomo, che deve andare indietro nel tempo, prima dello scoppio della guerra, per salvare il pianeta.

Per me l'amore era un eterno ritorno all'infanzia, un'infanzia che era nello stesso tempo festa e dolore, la luce soffusa del crepuscolo su un paesaggio, le gonne di mia madre, le gite domenicali e, su tutti, un ricordo persistente di un giorno prima dello scoppio della guerra: la scena sul grande molo di Orly e un viso di donna. Dolcissimo. L'ovale perfetto del viso incorniciato da una massa di capelli scompigliati dal vento, un sorriso appena accennato, un dito che, con un gesto plastico e sensuale, portava alla bocca, uno sguardo malizioso forse a causa di una lieve miopia. Quanto era bella quella donna.  Mi chiedevo se avevo creato quell'attimo di dolcezza per sopportare la lunga follia che stava per arrivare: quel corpo che precipita, le urla della gente sul molo sconvolta dalla paura.
Nulla distingue i ricordi dagli altri pensieri, solo più tardi si fanno riconoscere dalle loro cicatrici. Quel giorno nella mia anima qualcosa deve essere successo, la cicatrice non si è mai rimarginata. Ma non mi importa, quell'attimo di dolcezza si è ingigantito nel ricordo, è tracimato come un fiume in piena su un terreno alluvionale. Ha assorbito tutto l'amaro, come una spugna.

Un film sperimentale, coraggioso. Un insieme di fotogrammi, una voce fuori campo che commenta, con un tono grave e pieno di pathos, un continuo andirivieni nel tempo, nei ricordi, nel passato e anche nel futuro. Il tutto lascia una percezione di straniamento, di inquietudine, una sensazione di freddo, un presentimento che tutto sia stato già deciso, che non si può lottare contro il proprio destino.

8,5/10
 La jetée
(1962) on IMDb

musica appropriata: Talking heads, Life during wartime


venerdì 3 maggio 2013

L'umanità

Gli abbracci spezzati


Film francese del 1999 diretto da Bruno Dumont.

Il corpo di una bambina viene trovato nelle campagne di una cittadina del nord della Francia. Pharaon è un ispettore di polizia incaricato di far luce sul caso. È un uomo semplice e malinconico, la crudeltà lo sconvolge. Le indagini vanno a rilento e le piste da seguire sono inconsistenti.

Il mondo è bello e crudele. Tanto crudele. Io non sopportavo tutte queste atrocità, mi immedesimavo nella sofferenza e ne uscivo annichilito, a pezzi. Qualcosa dovevo pur fare per placare questo tormento che pesava sulla mia anima. E la facevo: correvo, urlavo, mi sfogavo, davo di matto. Dicevano che ero scemo. Può darsi, che importa. Quando tutto va per il verso storto, ci si abitua a qualsiasi efferatezza, si finisce per vivere come macchine, annientati dalla routine, dalla noia. Tutto si raffredda. Io, però, non mi rassegnerò mai, non potrei sopportarlo. E allora mi astraggo, il mio pensiero vaga, lontano, libero. In una meravigliosa radura, in vallate piene di fiori. Chissà dove. Un giorno farò solo quello che mi sentirò di fare e percorrerò il mondo in lungo e largo, perché è giusto e perché mi appartiene. Un giorno, non oggi.

Incredibile la capacità di Dumont di tratteggiare la psicologia dei suoi personaggi. Alla fine del film è come se li avessi conosciuti di persona. Una capacità che è riscontrabile soltanto in Mike Leigh. Con una differenza sostanziale: i personaggi del regista inglese, pur sfortunati, perdenti, spesso caricaturali, sono sempre positivi, teneri; figure in cui viene spontaneo immedesimarsi. La cosa diviene impossibile, invece, con i protagonisti dei film di Dumont: complessi, pieni di tic, con un passato oscuro, vacui,  meschini o crudeli. Pharaon  ha lo sguardo spesso perso nel vuoto, sembra assente, ogni tanto abbraccia qualcuno, così, per consolarlo, quasi per riscattare l'intera umanità con il suo gesto. Ma è un abbraccio sterile, grottesco, privo di qualsiasi pathos.
Il cinema di Dumont è un cinema crudele, da prendere a piccole dosi, meglio non esagerare.

9/10
 L'humanité
(1999) on IMDb

musica appropriata: Josh Ritter, In your arms





giovedì 2 maggio 2013

L'età inquieta

Le anime morte


Film francese del 1997 diretto da Bruno Dumont.

Freddy è una ragazzo epilettico, non troppo sveglio, che vive con la madre e passa le sue giornate in folli corse con il motorino. A modo suo, ama la sua ragazza ma a lei preferisce la vita di branco con il suo gruppo di amici. Sarà la noia, la mancanza assoluta di un qualsiasi interesse, che spingerà i ragazzi ad un gesto brutale, di cui non riescono a comprendere la gravità.

Quando mi risvegliai, lì nell'erba alta, sentii che le circonvoluzioni del mio cervello fossero come ricoperte di ragnatele e di polvere. Non era, però, una sensazione nuova. Mia madre mi diceva sempre che già da tempo avevo portato il cervello all'ammasso. Probabilmente non aveva tutti i torti. Ma la colpa non era mia, né nostra. Era la noia che ci uccideva, implacabile e assoluta. Era come se la vita si fosse dimenticata di noi e del nostro piccolo villaggio. Qui tutto continua sempre uguale, non succede nulla. Qualcosa dovevamo pur fare. Non necessariamente la cosa giusta. E poi era soltanto un arabo, mica un essere umano.
In questo momento, però, sono felice: il mondo mi appare così gioioso, lineare, rassicurante. Sì, ho fatto la cosa giusta. Forse.

Esordio col botto per Bruno Dumont. Il suo primo lungometraggio è una pellicola inquietante, crudele, perché fotografa realisticamente l'assenza assoluta di valori di una generazione perduta, l'anima razzista della Francia profonda. L'ambientazione fatta di strade deserte, desolate, di un paesaggio altrettanto vuoto, silenzioso, in cui il solo rumore percepibile è il rombo assordante delle motociclette, mette bene in evidenza l'isolamento, la monotonia, il vuoto di un'esistenza.
Film duro, bellissimo e, per essere un'opera prima, incredibilmente maturo.

8,5/10
 La vie de Jésus
(1997) on IMDb


musica appropriata: The Drones, How to see through fog

mercoledì 1 maggio 2013

I re e la regina

Encomium moriae


 Film francese del 2004 diretto da Arnaud Desplechin.

Nora ha una relazione con un uomo ricco e gentile. Anche se non lo ama alla pazzia, decide di sposarlo. Nel frattempo il padre, amatissimo, si ammala, ed è in fin di vita. Nora dovrà occuparsi di lui e trovare qualcuno a cui affidare nel frattempo suo figlio. Vorrebbe che ad occuparsi di lui fosse il suo ex marito, Ismael. Ma lui è ricoverato in un ospedale psichiatrico.


Mi chiamavano inadeguatezza. In effetti ero sempre fuori posto, ovunque e sempre. Ed ero pazzo. Va be', non del tutto, non sempre. A sprazzi. Ogni tanto il cervello mi andava in pappa, non ragionavo più, ero capace di qualsiasi cosa. Ma il TSO non me lo aspettavo. E neanche quella dottoressa, così bella, così odiosa. Mi ricordava mia moglie. Mia moglie che aveva ammazzato il suo primo marito. Mi faceva paura. Adesso, qui, in questa bella cameretta d'ospedale, quando apro gli occhi vedo solo il buio e, non vedendo niente, credo di vedere quello che immagino. Una bella sensazione. Mi fa star bene. Sì, credo proprio che questo ospedale faccia per me. Personale simpatico (a parte la dottoressa), pazienti belle e nevrotiche, tranquillità. Rilassamento. Cosa chiedere di meglio? 

Bellissimo film che mescola sapientemente dramma e commedia, tragedia e leggerezza in un continuo andirivieni temporale, senza che questo appesantisca la visione. Per niente. I due mondi, apparentemente contrapposti (quello di Nora e quello di Ismael, suo ex marito) hanno in realtà tantissimi punti in comune, sono compenetrati strettamente. Veramente meravigliosa ed inquietante la citazione  hitchcockiana, affidata al padre di Nora che legge, in punto di morte, le pagine del suo diario in cui parla della figlia tanto amata e tanto odiata. Da brividi.
9/10
 Rois et reine
(2004) on IMDb

musica appropriata: Brown bird, Seven hells